Sant’Antonio in Valnerina

Il Santo col porcello tra usanze di ieri e tradizioni di oggi

Sant’Antonio in Valnerina

Pasqua Befanìa
tutte le feste porta via
arispose sant’Antonio:
Piano ‘n po’ ché c’è la mia!

Si dice che “la Befana tutte le feste porta via”, ma in realtà ai tempi dei nostri nonni la festa più attesa dell’anno era quella che cade il 17 gennaio, ossia quella dedicata a Sant’Antonio Abate, santo protettore degli animali, dal quale, secondo la tradizione, dipende la salute del bestiame e la sua moltiplicazione, che tutt’ora è celebrata con cerimonie religiose e conviviali.

In Valnerina, ora come un tempo, questa ricorrenza è molto sentita, e non è limitata al solo giorno in cui il santo è venerato. La preparazione alla festa comincia circa una settimana prima del giorno di Sant’Antonio, quando i due santesi, che cambiano di anno in anno, iniziano a fare i “i giri di questua”, ossia passano di casa in casa, “accattando” le offerte che sarebbero servite per i festeggiamenti.
Queste piccole donazioni, che oggi vengono date in denaro, una volta consistevano in ciò che la famiglia aveva da offrire: carne, vino, insaccati e ogni cibaria che avevano a disposizione.

Ogni paese della Valnerina ha sviluppato nel corso degli anni modi diversi di festeggiare, così tanto variegati che anche il giorno in cui viene festeggiato non è mai lo stesso, sebbene tutti abbiano un comune inizio. La mattina dedicata al “Santo col porcello” è usanza, quindi, partecipare alla celebrazione religiosa a lui dedicata. Alla fine della messa, le piazze intorno alle chiese di paese si riempiono di persone accompagnate dai loro animali, non solo quelli domestici, ma anche quelli che vengono dai loro campi, come mucche, buoi, cavalli e pecore, a cui si aggiungono, oggi, i più moderni mezzi agricoli, che hanno sostituito il bestiame impiegato nella lavorazione dei campi.

Alla fine della celebrazione ai partecipanti veniva data in dono, a secondo del luogo, o una pagnottella di pane duro, come era usanza nella zona di Ferentillo e Poggiodomo, una collana di “ciambellette di S. Antonio”, come invece accadeva a Norcia. A Gavelli, piccolo borgo del Comune di Sant’Anatolia di Narco che sorge sul crinale del monte Coscerno che guarda verso la Valnerina, venivano invece regalati gli ossi dei prosciutti, usati per insaporire una zuppa di fave secche che veniva consumata comunitariamente.
Tutto rigorosamente benedetto, come da usanza.

Ai giorni nostri, invece, è tradizione regalare ai presenti alla benedizione una ciambellina con mosto d’uva ed anice insieme a un oggetto impiegato per la cura degli animali, come può essere una ciotola oppure un guinzaglio. Solo dopo la messa dedicata a Sant’Antonio e la consegna dei doni, potevano avere inizio i festeggiamenti veri e propri.
Il convivio che un tempo veniva allestito per tutta la comunità era realizzato con i prodotti stessi offerti dalle famiglie durante la questua, oppure grazie a ciò che i due santesi avevano incassato con la vendita di quello che erano riusciti a ottenere.
Se il ricavato non era sufficiente a organizzare il rinfresco, i santesi erano obbligati a aggiungere soldi di tasca propria; se, invece, ne avanzavano, questi venivano donati alla chiesa locale e impiegati per le sue necessità.

I festeggiamenti erano e sono tuttora accompagnati dalla musica e da canzoni popolari, che propongono frammenti di vita del Santo liberamente rielaborate dalla fantasia popolare:

“Buonasera amici cari
tutti quanti cristiani,
io vi vojo raccontare
de la festa di domani,
che domani è sant’Antonio,
lu nemico de lu demonio,
che domani è Sant’Antonio,
lu nemicu de lu demonio.”

Sant’Antonio era un vecchietto
che portava lu bastone,
che te fa ‘n giorno ‘l demonio?
Je lo butta ‘n mezzo al foco
sant’Antonio se ne rise
co’ pazienza lo riprese….”

Anche oggi la tradizione del rinfresco dopo la benedizione, così come quella delle canzoni popolari dedicate al santo, rimane. Ogni persona del paese provvede a preparare qualcosa per il banchetto in onore di Sant’Antonio e, successivamente, i festeggiamenti proseguono con un pranzo, organizzato dai santesi, presso un ristorante del luogo.

A Sant’Anatolia di Narco, da come ci viene raccontato dalle persone del paese, questa ricorrenza è molto amata, specialmente dagli uomini, unici partecipanti ammessi al consueto pranzo, che una volta consumato si conclude con una visita ad ogni cantina del paese dove i proprietari si sentono in dovere di offrire del vino, pena scherzi goliardici.

“Te se presenta un branco de maschi canterini davanti l’uscio de la cantina, che fai?
Non je dai lu vinu?! Vojono da be’…sarà mejo dajelo..!”

Mentre gli uomini si recano di cantina in cantina, le donne preparano il rinfresco, questa volta aperto a tutta la popolazione -donne e bambini inclusi- per continuare a festeggiare insieme fino a sera.

A questo punto non rimane altro che augurarvi di trascorrere un Sant’Antonio in allegria e in buona compagnia.

Bibliografia

– Il Ciclo dei Mesi, Mario Polia, 2009, pp. 35-55
– Cibi dell’ordinario e dello straordinario: alimentazione quotidiana ed alimentazione rituale e festiva, Giancarlo Baronti, 1999
– Dalla coltura alla cultura alimentare. Ricerche dall’Umbria ( a cura di F. Fatichenti), Culture Territori Linguaggi, pp. 27-47