Piante in Valdinarco è una raccolta di schede pensate per raccontare la storia, gli utilizzi e le curiosità di alcune di alcune piante diffuse in Valdinarco.

Le piante qui raccolte sono raccontate non solo da un punto di vista botanico, ma con la finalità di trasmettere e raccontare anche quegli utilizzi che riportano in vita la storia e gli usi più legati alle persone che da sempre hanno vissuto in questi luoghi.

___________________________________________________________________

Intervento finanziato con Programma di Sviluppo Rurale dell’Umbria 20214-2020 – Piano di Azione Locale 2014-2020 “Due Valli Un Territorio”
Misura 19 – Sottomisura 19.2 – Azione 19.2.1.10 – “Realizzazione itinerario turistico e valorizzazione di beni architettonici e storici”

 

AGLIO ORSINO
Nome scientifico: Allium ursinum L.
Nome in Valdinarco: Ajio ursinu

L’aglio orsino è una pianta diffusa anche nelle zone boscose della Valdinarco, caratteristica per i suoi fiori bianchi e un profumo riconoscibile. Sapete perché si chiama così? Le sue foglie sono un cibo molto gradito agli orsi al risveglio dal letargo!
Una curiosità culinaria: le sue foglie vengono utilizzate anche per diventare un pesto dal sapore deciso e … di aglio!
Una distesa di aglio orsino si trova nei pressi del paese di Caso, dove è possibile non solo ammirare la sua fioritura a maggio, ma anche scoprire che, non troppo lontano, la tradizione orale riporta come alcune grotte si trasformavano in comodi ripari per il letargo di alcuni orsi.

BOSSO
Nome scientifico: Buxus sempervirens L.
Nome in Valdinarco: U Bussu

Il bosso è una pianta sempreverde molto diffusa in tutta la Valdinarco, dai cui rami si ottiene un legno molto duro e prezioso, utilizzato dagli ebanisti per realizzare oggetti di pregio.
Durante il periodo quaresimale i rametti di questa pianta diventavano protagonisti di un gioco molto diffuso tra i bambini fino a qualche tempo fa, chiamato “Fuori il verde”
Quando s’incontravano, un bambino diceva all’altro “fori lo verde” (il verde era il rametto di bosso) e chi era più veloce ad estrarlo per primo vinceva la sfida. L’altro invece pagava un piccolo pegno, che di solito era un semplice uovo sodo.

GINEPRO COMUNE
Nome scientifico: Juniperus communis L.
Nome in Valdinarco: Jinepre

Il ginepro è una delle piante più utilizzate da sempre per le sue bacche, che vanno dal colore verde, al rosso, fino ad arrivare al blu.
Le bacche di ginepro, oltre a essere fonte di cibo per gli uccellini, vengono usati per insaporire numerosi piatti tipici fino a essere utilizzate per la produzione del liquore famoso, in tutto il mondo che prende il nome da questa pianta: il gin!
Secondo la tradizione, il legno di ginepro si bruciava nel camino la notte del 31 dicembre. Il fuoco dell’ultima notte dell’anno, quando i giorni erano più bui, veniva alimentato con un legno a cui venivano attribuiti poteri protettivi per la casa.

GINESTRA COMUNE
Nome scientifico: Spartium junceum L.
Nome in Valdinarco: Jinestra

La ginestra è una vera regina delle montagne: in primavera e in estate colora i boschi di un giallo sole e conquista tutti con il suo profumo inconfondibile.
Le ginestre del Monte Coscerno si utilizzavano in occasioni speciali come per creare le infiorate del Corpus Domini. Anche il pomeriggio del 23 giugno si raccoglievano i fiori di ginestra, ovviamente insieme a tutti gli altri fiori di campo, per fare la profumatissima acqua di san Giovanni.
Oltre ai fiori, anche i rametti della ginestra sono molto importanti: da questi si otteneva una fibra molto robusta che era usata per fare dei tessuti che erano molti duri e ruvidi che, come racconta ancora oggi la signora Pia, quando si lavavano restavano rigidi come una pertica. Insomma: imperticati!

MAGGIOCIONDOLO
Nome scientifico: Laburnum anagyroides Medik.
Nome in Valdinarco: Cantamaggio

Il laburno, detto anche maggiociondolo, è una pianta facilmente riconoscibile per via dei fiori che ricordano quelli del glicine o dell’acacia ma che si distinguono da essi per il diverso colore, che non è violetto o bianco, ma giallo vivo!
Proprio ad essi si deve il romantico nome di Maggiociondolo, visto che i piccoli boccioli dorati compongono lunghe e profumate colonne che ciondolano nel tiepido vento di maggio.
Nonostante questa pianta appartiene alla stessa famiglia delle fave, i suoi frutti sono molto velenosi e mortali, e solo alcuni animali selvatici posso cibarsene, tanto che in alcuni luoghi è considerata una pianta magica.

MANDORLO
Nome scientifico: Prunus dulcis (Mill.) D.A.Webb
Nome in Valdinarco: Mandole

Di piante di mandorlo oggi ne sono rimaste più poche nei paesi di montagna come la frazione di Caso, e questo è un peccato perché è una delle prime piante a fiorire in primavera.
Nonostante i proverbi su questa pianta recitano che “la mandorla sciocca fiorisce quando fiocca”, i mandorli erano coltivati nei paesi di montagna in quanto molto resistenti al freddo.
Le mandorle sono un alimento energetico e che si conservava molto tempo, utilizzate in passato anche per ricavare il prezioso olio di mandorla nelle zone troppo fredde per gli ulivi.
Le mandorle, insieme alle mele roscette, erano coltivazioni così importanti per gli abitanti di Caso che vengono ricordate anche nelle preghiere popolari che si rivolgevano a san Cristina, protettrice delle donne nubili.

MELO COMUNE
Nome scientifico: Malus domestica (Suckow) Borkh.
Nome in Valdinarco: Mele roscette o mele zitelle

Nella frazione di Caso veniva coltivata una varietà molto particolare di meli, dai quali si raccoglievano dei frutti piccoli ma molto dolci e che rappresentavano un ottimo sostentamento per le famiglie che abitavano a Caso, sicuramente più numerose di oggi, e che vivevano di pastorizia e di agricoltura.
Queste mele, che si conservavano tutto l’inverno tra la paglia, erano una risorsa così importante da dare il nome al Piano delle Melette, lago d’erba che si può ammirare dal castello di Caso.
Le melette o mele roscette coltivate a Caso erano chiamate simpaticamente anche col nome di mele zitelle per via del loro colore: durante la maturazione sulla buccia compaiono delle macchie rosse, facendo somigliare queste piccole mele rotonde alle guance truccate di una ragazza in cerca di un futuro sposo.

QUERCIA, ROVERELLA
Nome scientifico: Quercus pubescens Willd.
Nome in Valdinarco: A cerqua

Detta in dialetto cerqua, la quercia è tra le piante più maestose del bosco della Valnerina, un tempo molto importante per le ghiande, usate soprattutto per allevare il maiale, ma anche “a tempo di guerra” utilizzate come farina oppure tostate per fare il caffè.
I rami della quercia, se punti dagli insetti, formano delle palline legnose, le cosiddette galle, chiamate localmente cucche o pallecucche.
Vista la loro forma sferiche, le cucche diventavano delle perfette pipe: si apriva la pallina, la si ripuliva ben bene all’interno, per poi ultimarla con un buchino in cui inserire un rametto: i più utilizzati per le pipe con le cucche erano quelli di ginestra!

ROSA CANINA
Nome scientifico Rosa canina L.
Nome in Valdinarco: Rosette, Caccavelle

Tra i più antichi che esistono, tanto da essere inserita anche i molti stemmi araldici, il fiore a cinque petali della rosa canina riempie i boschi di tutta la Valdinarco.
La sua abbandonante diffusione è probabilmente dovuta a un curioso divieto del passato. Contrariamente al ricercato legno di ginepro, bruciato come buon auspicio alla fine dell’anno, la rosa canina non era utilizzata poiché proprio dei suoi spini sarebbe stata fatta la corona di Cristo.
Dopo la fioritura, i cespugli di rosa canina si ricoprono di bacche colore rosso accesso, che in Valnerina sono dette caccavelle: una meraviglia per gli occhi soprattutto in pieno inverno, magari quando i suoi rami si ricoprono di un candido manto di neve.
Le bacche contengono più vitamina C delle arance: nonostante sia difficilissimo pulirle, vengono raccolte e utilizzate come rimedio i malanni invernali!

 

SCOTANO, SOMMACCO SELVATICO
Nome scientifico: Cotinus coggygria Scop.
Nome in Valdinarco: Albero della nebbia

Lo scotano è un arbusto diffuso un po’ in tutta la Valnerina, ed è una delle piante più utilizzate in passato nella concia delle pelli, tanto che la sua coltivazione è citata anche in molti statuti comunali e documenti catastali della Valnerina.
Esistono due momenti dell’anno in cui è possibile riconoscerlo: in primavera, quando lo scotano fiorisce e crea delle infiorescenze che sembrano tante nuvolette rosa, caratteristica che gli è valsa il nomignolo di albero della nebbia, oppure dopo l’estate.
Le foglie, che hanno una forma tondeggiante, diventano prima come tante monete d’oro, per poi colorare i boschi in autunno, quando gli arbusti di scotano si tingono di un bellissimo colore rosso acceso.