San Biagio, il santo con il cardo
Il tre febbraio si ricorda san Biagio, vescovo di Sebaste, vissuto in Armenia a cavallo tra la fine del III e l’inizio del IV secolo, periodo in cui si verificarono numerosi cambiamenti sociali e religiosi dovuti all’affermarsi del Cristianesimo.
Il vescovo Biagio visse fino al 316 d. C., e durante gli ultimi anni della sua vita regnava in occidente l’Imperatore Costantino, capo politico che favorì la fede cristiana a cui lui stesso aveva aderito. Non è un caso che Costantino viene ricordato per il famoso Editto di Milano, sottoscritto nel 313 a.C insieme all’Imperatore d’Oriente, Licinio.
Se da un lato, però, Costantino era a favore del Cristianesimo, di tutt’altro avviso si mostrò l’operato di Licinio. Probabilmente a causa di dissidi politici, l’Augusto d’Oriente proseguì le persecuzioni, che negli anni precedenti avevano visto il massimo culmine con le persecuzioni di Decio (250 d.C. circa) e di Diocleziano e Galerio (dal 303 al 311 d.C).
Biagio visse gli ultimi anni della sua vita proprio sotto la politica persecutoria di Licinio, subendo le ripercussioni per la sua fede anche a causa del ruolo di Vescovo.
Come mai stiamo raccontando la vita di San Biagio?
Il tre febbraio è il giorno in cui si celebra proprio questo santo, martirizzato in modo alquanto crudele dopo essere stato processato e aver rifiutato di rinnegare la propria fede.
Biagio venne infatti straziato con un cardo da lana e poi decapitato.
Della sua vita si ricordano principalmente i miracoli compiuti. Il più famoso l’episodio di ragazzo che stava soffocando a causa di una spina di pesce incastrata nella gola. Il giovane guarì grazie all’imposizione delle mani del santo in quel punto.
San Biagio viene annoverato tra i quattordici santi ausiliatori e invocato per la cura dei mali fisici, in particolare quelli della gola e per questo motivo è patrono dei laringoiatri e dei fiatisti.
In Valnerina per San Biagio si usava benedire due candele con cui veniva segnata la gola dei fedeli, a protezione dei mali in quella parte del corpo. In diversi paesi si benedivano anche delle ciambelline e dei pani realizzati per l’occasione, che venivano poi appesi collo dei bambini e si mangiavano “pe devozione”.
A San Martino, frazione di Sant’Anatolia di Narco, si portavano a far benedire una pagnotta e una ciotola di sale, da usare sempre per i mali della gola.
San Biagio però viene associato soprattutto con un utensile oggi poco conosciuto come il cardo da lana, e spesso è rappresentato proprio mentre regge questo oggetto. Ancora oggi si possono ammirare in molte chiese affreschi che lo ritraggono con questo attributo, come quella di San Michele Arcangelo a Gavelli.
Va da sé che San Biagio si diventato anche patrono anche dei cardatori, dei lanaioli e dei materassai e ha dato origine a una serie di tradizioni che hanno a che fare proprio con l’oggetto della sua tortura.
Nel giorno di San Biagio erano vietati molti lavori che prevedessero un pettine, oggetto che ricordava il cardo di San Biagio. Non si poteva cardare, tessere e filare. Non era permesso nemmeno pettinarsi perché, come ricorda ancora qualcuno:
san biaciu, né fusu, né acu, né pettine n capu
La festa di San Biagio oggi non è più celebrata come un tempo, così come non vi sono più i cardatori che giravano di casa in casa come un tempo, magari per cardare la lana dei materassi. Eppure sarebbe ancora un buon santo da invocare per sconfiggere qualche maldigola dovuto al freddo di questo mese, non trovate?
Un’ultima curiosità – e con questo ringraziamo tutti coloro che seguono il nostro blog e vi diamo appuntamento al prossimo articolo – riguarda proprio il nome attribuito al pettine di ferro per pettinare la lana o le altre fibre. Cardo è anche il nome, non a caso, di una pianta: il dispacus fullonum, detto scardaccione selvatico o cardo dei lanaioli (i fullonis romani, per l’appunto). I primi cardi furono infatti le infiorescenze di queste piante, essiccate e trasformate nei primi cardi usati dall’uomo.