L’anello di Sant’Emidio

Leggenda sul terremoto ambientata a Castelluccio di Norcia

L’anello di Sant’Emidio

A Castelluccio, nella chiesa parrocchiale di Santa Maria Assunta, erano conservate due statue, collocate in nicchie ai lati dell’altare maggiore.

Le statue rappresentavano l’effigie dei santi Gabriele ed Emidio.

La loro altezza era di circa 140 centimetri e i Castellucciani, tramite esse, eternavano la loro adorazione nei confronti dei due Santi, tanto popolari nel territorio.

Queste statue una notte vennero rubate.

A commissionare il furto sacrilego si dice fosse stato un uomo alquanto strano: taciturno, solitario, forse un mago, uno stregone quasi sicuramente un demone, certo non una persona comune.

All’equivoco figuro interessava soprattutto entrare in possesso del simulacro di Sant’Emidio.

Questa statua possedeva una particolarità: aveva una mano protesa, sulla quale vi era riprodotto in raffinata miniatura un paesaggio urbano nel quale qualcuno ravvisava i contorni della città di Norcia.

Un dito della mano era ornato da uno splendido anello d’oro con incastonato un prezioso diamante, talmente puro che la luce da esso riflessa provocava la cecità di quanti avessero voluto ammirarlo.

L’anello aveva poteri magici e possedendolo si potevano generare catastrofi, si aveva il controllo incondizionato degli agenti atmosferici e il totale dominio dei folletti che vivono nelle viscere della terra: per ottenere tutte queste facoltà lo strano uomo aveva ordinato il furto della statua e ora che il gioiello Valnerina era a sua disposizione aveva una smisurata capacità di apportare il male.

E il male arrecò.

Scatenava tempeste, faceva avvenire terremoti, inondazioni o siccità e induceva i venti a soffiare così impetuosamente da divellere perfino le querce secolari che affondavano le lor possenti radici nel sottosuolo.

Ed egli provava compiacimento alle sue crudeltà.

Ma un giorno il magnifico anello gli fu sottratto.

Qualcuno s’insinuò nella sua abitazione e prelevò il monile, forse per entrare in possesso dei poteri che elargiva o per il suo incalcolabile valore. Grande fu il turbamento del demone quando si accorse dell’avvenuto furto e talmente grande fu la sua collera che egli lanciò un terrificante anatema: fin quando l’anello non fosse tornato al suo posto o fosse stato ritrovato, la città di Norcia, e il suo territorio, avrebbero subito negli anni il continuo tormento del terremoto poiché i folletti del sottosuolo, liberi da qualsiasi autorità, si sarebbero abbandonati a ogni sorta di molestia, provocando movimenti tellurici e fenditure nella crosta terrestre.

Da quella vicenda tanti anni sono passati e tanti terremoti Norcia ha dovuto subire, con conseguenze anche disastrose. L’anello d’oro, purtroppo, non è stato ancora restituito e l’incantesimo non si è rotto.

Il demone, inappagato, attende impaziente di riaverlo.

Chissà per quanto tempo ancora Norcia dovrà aspettare finché le sue case e l’animo dei suoi abitanti non siano più sconquassati dai malefici folletti che, con la loro smodata libertà, lasciano andare a frenesie di ogni genere, innescando così i tremori della terra nursina.

Chi, fra i lettori, venisse a conoscenza di indizi che possano permettere il ritrovamento dell’anello, non esiti a riferire quanto. Avrà il compiacimento dei dimoranti di Norcia e della Valnerina tutta poiché essi sono sfiniti da secoli di spaventosa convivenza con il terremoto.

(racconto tratto dal libro “Storie della Valnerina – Racconti, fiabe, leggende della cultura popolare”, Pierluigi Valesini, 2000)