La canapa in Italia: dal grande successo al dimenticatoio. Perché?
Quando parliamo di canapa, a cosa pensiamo?
Fino alla metà del Novecento la canapa veniva coltivata in tutta Italia – prevalentemente per uso domestico – e la sua coltivazione e trasformazione erano attività che occupavano tutta la famiglia lungo il corso dell’anno. La fibra era utilizzata per la produzione di corde (indispensabili per le varie attività agricole), di reti da pesca ma, soprattutto, per la realizzazione di tessuti per il confezionamento della biancheria per la casa, dei sacchi per farine e cereali, dell’abbigliamento dei vari componenti della famiglia, nonché per il corredo delle figlie femmine in età da marito.
Come riporta il Donà Dalle Rose nel suo libro “La Canapa”(a) l’Italia, nel 1938, detiene il primato assoluto mondiale per la produzione di canapa per qualità ed occupa il secondo posto fra i paesi produttori di canapa per quantità; la canapa viene pubblicizzata fino alla fine degli anni Quaranta come l’unica fibra leggera, elegante, robusta e igienica, talmente resistente da garantire al corredo una lunga durata.
Ci troviamo in piena autarchia e quello di canapa è il tessuto principe del momento, tanto che riviste e giornali lo pubblicizzano come il tessuto che dura cento anni, che resiste ai bucati e non si sciupa; tuttavia, dopo questo periodo, la memoria legata alla canapa tende ad affievolirsi e questa “italianissima fibra” scompare dalla memoria delle persone.
A decretare la scomparsa della canapa concorrono una serie di fattori che, a diverso titolo, fanno sì che l’Italia, da primo produttore mondiale di canapa, perda addirittura sia il ricordo del tessuto che le tracce della sua coltivazione.
Già le riviste di settore come Canapa, edita dal Centro Documentazione Canapa tra il 1953 e il 1954, mettono in evidenza il significativo calo di produzione sia nella coltivazione sia nell’esportazione di canapa nel periodo post bellico. Si passa, ad esempio, da 1.086.000 quintali prodotti in Italia nel 1938 ai 581.708 del 1952. Questi sono solo alcuni dati che fanno comprendere come, nel giro di qualche decennio, la produzione si sia praticamente dimezzata.
Ma quali sono stati i motivi di questo calo? Come mai, a partire dal secondo dopoguerra, la canapa progressivamente scompare dalle campagne italiane e i “fili d’oro” non vengono più utilizzati per realizzare quei tessuti tanto ricercati fino a qualche decennio prima?
L’autarchia è finita, l’Italia esce dalla guerra con la voglia di risollevarsi e di tornare competitiva sul mercato internazionale, il boom economico è alle porte e la società che si affaccia ai nuovi decenni ha voglia di novità, di uscire dal grigiore dettato dalla guerra e di aprirsi a quello che il mercato offre.
Dopo anni di eclissi totale della canapa, a partire dalla fine degli anni Novanta, grazie ad azioni mirate portate avanti da associazioni di categoria, si è iniziato a riparlare di canapa e a dar vita ad un processo di riattivazione della memoria storica legata a questa fibra.
È solo a partire dal 1997 che, con la circolare Mipaf n. 734 del 2 Dicembre 1997, è stato possibile reintrodurre la coltivazione della canapa (esclusivamente per uso tessile e cartario) sul territorio nazionale. Da questo momento si sono susseguite varie Circolari Ministeriali ed è del12 dicembre 2016 la prima legge italiana che norma la produzione industriale di canapa in tutti i settori interessati.
Ma quali sono i nuovi impieghi della canapa?
Si spazia dal tessile alla bioarchitettura, dall’alimentare alle bioplastiche, dalla cosmetica al settore cartario, dalla phitoremediation alla nutraceutica solo per citarne alcuni.
Di questo e di molto altro parleremo nel nostro blog: se vi abbiamo incuriosito, seguiteci!
(a) Antonio Donà Dalle Rose, “La Canapa: coltivazione e utilizzazione industriale”, 1938 – Ramo Editoriale degli Agricoltori, Roma