Ascensione e albumi d’uovo

Una tradizione del secolo scorso legata a fidanzamenti e matrimoni

Ascensione e albumi d’uovo

Che maggio sia un mese che, tra un cinguettio e un fiore che sboccia, inspira all’amore, non v’è dubbio.

Dopo essere passati per il primo maggio, la festa di San Michele Arcangelo (8 maggio) e, infine la Santa Cristina invocata delle “zitelle” nella processione del 10 maggio, anche questo mese volge alla fine.

Alle festività già menzionate, in cui si fonde sacro e profano, ve né un’altra legata ai riti d’amore in modo insospettabile.

Stiamo parlando dell’Ascensione, festività religiosa che ricorre quaranta giorni dopo la Pasqua ma posticipata alla domenica successiva (per amor di cronaca, quindi, può cadere tra la fine di aprile e l’inizio di giugno) in cui Gesù, dopo la sua morte e resurrezione, ascende al cielo con il corpo.

 

La festività prettamente religiosa cede il passo a una serie di usanze diffuse in tutti i piccoli borghi della Valnerina, che fondono sacro e profano. Una in particolare è quella che vogliamo raccontare quest’oggi: la consultazione della “chiara dell’uovo”.

Questa pratica divinatoria, che riguardava principalmente le “zitelle”, donne nubili in cerca di un fidanzato, o quelle già promesse ma desiderose di maritarsi, prevedeva l’utilizzo di un albume d’uovo lasciato per l’intera notte precedente l’Ascensione in una brocca d’acqua.

La mattina successiva era tutto un chiedersi, tra le ragazze di un tempo, “ma tu che c’hai trovato?”… e via a interpretare le forme disegnate nell’acqua dall’albume.

Un aratro o una mucca, ad esempio, avrebbe indicato un matrimonio con un contadino, delle scarpe avrebbero suggerito un ciabattino, un palazzo era indice di un matrimonio ricco e così via.

Non mancavano, in alcuni casi, presagi meno piacevoli, che suggerivano una prematura dipartita del promesso sposo o un matrimonio non celebrato; senza dubbio nessuna donna in cerca di marito era propensa ad accogliere simili interpretazioni, preferendone alcune bene augurali come un fiore, che indicava il bouquet della sposa, o semplicemente una casa.

Non mancavano i presagi tessili, forse i più comuni e con maggiori interpretazioni. Se l’albume avesse, infatti, creato dei filamenti bianchi nell’acqua, questi avrebbero potuto rappresentare i fili della dote da sposa, oppure quelli del telegrafo, pronosticando un matrimonio con un guardiafili, addetto alle linee del telegrafo.

Potevano comparire anche dei teli, sempre di colore bianco, a indicare quelli in canapa sbiancata disposti ordinatamente nei bauli del corredo, oppure i veli da sposa. Non ultimo, i teli potevano indicare le vele di una nave, quindi rappresentare matrimoni con un uomo originario di una località marittima o con un marinaio, oppure un viaggio in altre nazioni o altri continenti (ai tempi dell’emigrazione andava sicuramente di moda vedere nell’albume la nave per le Americhe). Non ultimo, le vele delle navi potevano simboleggiare semplicemente il viaggio del matrimonio, vista la pratica diffusa il secolo scorso in una cultura “virilocale”, ossia la consuetudine che fosse la sposa a “viaggiare” fino alla casa e al paese del marito.

Oggi quasi nessuno consulta più la “chiara dell’ovo”, d’altra parte i mezzi per incontrare l’anima gemella sono passati dalla messa della domenica ai social network… eppure qualche signora, ovviamente spostata, ancora oggi va ricordando come “la chiara c’aveva acchiappato”.

Noi restiamo legati alla conservazione della memoria, soprattutto riguardo ai metodi d’un tempo per trovare marito. Vi lasciamo con una domanda… siamo sicuri che sia più efficace Facebook de “la chiara dell’ovo”?